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Erodiàs

porro
raccontato da Maurizio Porro
 
di Giovanni Testori
 
con
Federica Fracassi

regia
Renzo Martinelli

dramaturg
Francesca Garolla

assistente alla regia
Irene Petra Zani

suoni
Fabio Cinicola

luci
Mattia De Pace

creazione costume
Cesare Moriggi

produzione
Teatro-i
 

Che meraviglia scoprire che la lingua inventata di Giovanni Testori scavalca il tempo, le religioni, le sintassi, le origini.

Erodiàs, il più violento dei suoi tre mirabili lai in cui si sono provati attori di rara sensibilità vocal morale (dalla Innocenti a Lombardi) è ora nella voce, nello sguardo, nella tragica e grottesca espressione di Federica Fracassi. Che, prima di calarsi nella brava collegiale maritata e ordinata di Balzac, si permette ogni contravvenzione alle regole del vivere sociale ed etico urlando il suo amore per Giovanni Battista, anzi diventando fin da subito, con la barba, lui stesso, oggetto del suo amore, in una geniale trovata di costume.

Per la prima volta uno dei grandi monologhi di Testori viene presentato con tutti gli optional di uno spettacolo di Renzo Martinelli e non solo come uno straziante, disperato, assoluto esercizio di bravura per attore, il che ovvio esiste e persiste e colpisce; ma intorno alla Fracassi si svolge un’azione visiva, c’è un negozio, una vetrata, di cui un pezzo crolla e lei resta un manichino che parla da sola, una macchina celibe in cui si perde il teatro e la narrazione, sintomo e segno di una sublime crisi di genere che travolse per fortuna Testori quando passò dalla Ghisolfa a una qualunque navata centrale di una chiesa dove ci sono solo echi e non parole.

Le parole sono di un’altra lingua ma è merito di Martinelli e della Fracassi se noi spettatori al teatro I ce le indossiamo tutte, anche le più moleste.