Un bès
raccontato da Corrado Rovida
Mario Perrotta
Mario Perrotta
produzione
Teatro dell'Argine
Bastava aspettare tredici giorni e cresceva giusto, “con la vita davanti”, avrebbe detto lui, il Toni, “al tedesch”, “al matt”, o , più semplicemente, “al pitùr”. Che frustrazione per Antonio Ligabue nascere a pochi giorni dal 1900, da quel secolo nuovo traboccante speranza, e sentirsi fin dal principio inadeguato: come se da quell’appuntamento mancato si originasse tutta l’insufficienza di un’esistenza eccezionale, passata rincorrendo stabilità ed affetto.
Già, perché nonostante un talento naturale per il disegno e la pittura, la socialità del pittore naïf si è spesso risolta lontano dagli uomini, in compagnia delle bestie del bosco sulle rive del Po. Ed è lì, accanto al fiume, a quel correre d’acqua che ipnotizza, che si fa, nella contemplazione del pittore, nuovo flusso temporale, fiotto incessante di pensieri, che Ligabue trascorse buona parte del suo vivere. Un osservare lo scorrere delle cose, quello del Toni, che diventa, all’unisono, esercizio propedeutico all’arte e alla vita.
Sulle tele come nell’argilla, l’opera di Ligabue è anche il tentativo di tradurre un mondo che dev’essergli sempre sembrato indecifrabile e non solo a causa di quel ritardo mentale che lo ha spesso condotto in manicomio o negli istituti di cura. Come si può infatti comprendere a pieno una realtà dove si respinge la richiesta di un bacio? Dove si fugge, a volte con aperto turbamento, quello che è a tutti gli effetti “un momento di bene”? Mario Perrotta guarda Antonio Ligabue con delicatezza: uno “sguardo di pesca ”che è anche “sguardo d’amore”.