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Svenimenti

rovelli
raccontato da
Marco Rovelli
 
un vaudeville dagli atti unici, dalle lettere e dai racconti di Anton Cechov
 
progetto
elaborazione drammaturgica
Elena Bucci
Marco Sgrosso

con
Elena Bucci
Gaetano Colella
Marco Sgrosso

regia
Elena Bucci

 

 

Laila fotografa col suo occhio che vede quel che tu non vedi e poi dice, Quando torni a Milano andiamo a teatro. Un giorno a caso, una roulette russa. E la pallina si ferma su Cechov. Confesso , non ho mai amato Cechov. Anche se lo conosco per sommi capi, e ho visto solo un paio delle sue opere, quel che ho visto – un “teatro borghese” ripiegato su se stesso, intimista, familiare – non ha avuto nulla da dirmi. Be', vediamo che succede stavolta.

Sul proscenio c'è la donna di Cechov che parla: scrive al suo Anton. E poi i fantasmi dei personaggi si materializzano in scena. Si passa dalla vita al teatro attraverso porte girevoli che rendono indistinte le due zone. E sarà così fino in fondo, in questa messa in scena: una serie di atti unici giovanili e vaudevilleschi (lievi e a tratti brillanti) che si alternano alla presenza di lacerti di vita dell'autore. Una sorta di nota a margine costante, insomma, come a voler esporre lo sguardo stesso di Cechov, oltre ai personaggi che ha visto e scritto. Una rideclinazione dell'eterno rapporto tra arte e vita.

C'è molta vista, in scena. Talvolta i teli stesi quasi fin sul proscenio sembrano campiture di un trittico pittorico. E tre sono anche le pedane su cui si muovono, durante uno degli atti unici, quasi fossero corpi che non possono toccarsi e incontrarsi, ognuno destinalmente sulla propria cuspide.