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Svenimenti

rovelli
 
raccontato da
Marco Rovelli
 

Così, mentre lo spettacolo va avanti, io comincio a perdermi in altri pensieri. Su quelle pedane/ cuspidi vedo l'infinita schiera delle umane genti, incapaci di toccarsi, di sentirsi, di ascoltarsi, perduti in una pantomima interminata, venuta dalla notte dei tempi e destinata a riempire la notte del proprio nulla. Restano le forme? No, le forme sono vuote, e spariscono. Resta il silenzio, forse. Il silenzio che ognuno, assiso sulla propria cuspide, ha saputo accogliere, e generare in sé, e donare al mondo. Resta lo spazio che ciascuno ha saputo fare al vuoto, per fare risplendere le forme nel loro effimero apparire. Resta la luce che possiamo celebrare.

Ma subito riappare il demone che oscura i sensi. E' quello di uomini meschini incapaci di toccarsi, di sentirsi, di ascoltarsi. Sono sulla scena, attaccati alla roba, e sono fuori dal teatro, inondano il mondo, sono zombie che hanno invaso la terra. Resistere, raccogliendo luce sulla propria cuspide.

E continuare a cercare il contatto.

Una stanza bianca, un ambiente asettico e privo di qualsiasi cosa tranne due esseri umani che non riescono a parlarsi attraverso un dialogo, ma due monologhi, forti, ininterrotti, violenti, vomitati quasi addosso da Luca ad Anna e viceversa, senza nessuna possibilita` di replica.